Pregiata edizione anastatica dell’introvabile volumetto “Lo Storico Carnevale d’Ivrea” edito nel lontano 1928, ricco di notizie, illustrazioni e reclame dell’epoca. Riprodotto dai Tipi di Arti Grafiche Martinetto e finemente stampato dalla tipografia Gianotti in 999 esemplari venali numerati a mano uno per uno, e 10 pregiatissimi esemplari su papiro egiziano originale. Magistralmente rilegati e cuciti artigianalmente su copertina color buccia d’arancia.
(video di aasartoritorino)
Il carnevale di Ivrea si caratterizza soprattutto per il complesso cerimoniale folcloristico denso di evocazioni storico-leggendarie, per l'obbligo che i partecipanti hanno d'indossare una berretta rossa, e per la spettacolare Battaglia delle Arance, che è divenuta l'icona stessa del carnevale. Le origini del Carnevale d'Ivrea si possono far risalire almeno al XVI secolo
quando la festa veniva gestita, in rivalità tra loro, dai vari rioni della città (rappresentati dalle parrocchie di San Maurizio, San Lorenzo, Sant'Ulderico, San Salvatore e San Grato). Vengono attribuiti a quel periodo alcuni aspetti del cerimoniale che si sono conservati nel tempo. Innanzi tutto la presenza degli Abbà, che erano verosimilmente, a quei tempi, giovanotti scapestrati che, nel "mondo alla rovescia" tipico delle feste carnescialesche, assumevano scherzosamente la carica di massima autorità religiosa (abate, o priore); oggi il loro ruolo è interpretato da bambini scelti in rappresentanza dei vari rioni. Vi è poi il rituale, con evidenti chiami ai riti di fertilità, dell'innalzamento e dell'abbruciamento degli scarli, alti pali di legno interamente ricoperti di erica secca. Il lunedì di carnevale, l'ultima coppia di sposi del rione dissoda, a colpi di piccone, la terra dove dovrà essere conficcato lo scarlo; il martedì sera – come cerimonia conclusiva del carnevale che cede il passo alla Quaresima- gli Abbà, accompagnati dal corteo, provvedono con le torce ad appiccicarvi il fuoco per farne un falò. L'antica tradizione dei carnevali rionali fu soppiantata nel 1808 dall'unificazione delle feste voluta, anche per motivi di ordine pubblico, dalle autorità napoleoniche che governavano la città. Risale a quella data la istituzione della figura del Generale, simbolo dell'autorità municipale,che veste l'uniforme dell'esercito napoleonico
ed assume simbolicamente i poteri di gestione della festa. Da quel momento si aprì il processo di "storicizzazione" del carnevale, collegando il significato della sua celebrazione all'affermazione degli ideali di libertà giunti in Piemonte con la Rivoluzione Francese. Vi è da menzionare a tale proposito uno degli elementi che connotano maggiormente le tre giornate di festa, vale a dire l'obbligo per tutti i partecipanti -pena il rischio di diventare bersaglio di "grazioso getto delle arance" - di indossare il rosso berretto frigio, icona rivoluzionaria resa famosa dalla Marianne e dai sanculotti parigini. Anche le uniformi - con giubbe e pantaloni dai colori blu e rosso, stivali di cuoio nero, spada al fianco e feluche piumate – indossate dallo Stato Maggiore, gli ufficiali posti agli ordini del Generale, sono quelle dell'esercito napoleonico. Analoghe divise portano le quattro Vivandiere che, nei tre giorni di festa, sfilano a cavallo assieme allo Stato maggiore. Il processo di storicizzazione del carnevale si incaricò tuttavia di cercare, risalendo ad epoche ben anteriori alla Rivoluzione Francese, le origini dell'ansia di libertà e di lotta contro la tirannide, collocandole nelle vicende medievali che hanno interessato la città di Ivrea. In virtù della lettura in chiave romantica che, a partire dall'Ottocento, è stata data al Medioevo, si è voluto connotare il cerimoniale della festa in modo che essa celebrasse la lotta degli eporediesi contro la tirannide del Marchese del Monferrato. Troviamo documentata per la prima volta nel 1858 – nel pieno del manifestarsi degli ideali risorgimentali- la presenza di quella che da allora è l'eroina della festa, la Mugnaia. La leggenda vuole che, il giorno delle sue nozze, Violetta (era questa nome della ragazza popolana, figlia di un mugnaio di Ivrea) fosse stata trascinata nel "Castellazzo" dal perfido tiranno deciso a reclamare lo Ius primae noctis; ma Violetta, novella Giuditta, riuscì a far ubriacare il tiranno, per poi tagliargli nel sonno la testa, dando così inizio – come recitano le parole della "Canzone del Carnevale" - alla sollevazione popolare e all'abbattimento del maniero del tiranno. Nessuna vicenda storica suffraga puntualmente la leggenda, dal momento che i marchesi del Monferrato, pur tentando nel corso del XII secolo di signoreggiare su Ivrea, non riuscirono mai a stabilirvi durevolmente il proprio dominio. Ciò nondimeno il folclore del carnevale d'Ivrea è pieno, soprattutto nei costumi e negli stendardi che connotano la battaglia delle arance di richiami alle tradizioni medievali canavesane. Non va scordato che – come ha scritto Carducci – che lungo le vie del centro storico di Ivrea, dove ha luogo la sfilata del carnevale, aleggia l'ombra di re Arduino.
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