mercoledì 29 ottobre 2014

IN MOLTI CREDONO CHE LA NOSTRA LINGUA, L'ITALIANO, SI STIA INQUINANDO. INTERNET I SOCIAL NETWORK E GLI SLANG DEI GIOVANI STANNO TRASFORMANDO IL LINGUAGGIO IN QUALCOSA DI MENO CONVENZIONALE. UN COMPLESSO DI INGLESISMI E DI PAROLE MODIFICATE PER RISPARMIARE CARATTERI, FANNO RIZZARE I CAPELLI AGLI ITALIANISTI FONDAMENTALISTI DELLA LINGUA DI ALIGHIERI. SIAMO DIFRONTE AD UN NUOVO "DE VULGARIS 2.0"?

COMUNQUE ANCHE LEOPARDI DICEVA LE PAROLACCE
di Giuseppe Antonelli
ebook euro: 4,99
Il congiuntivo è morto,vorrebbero farci credere che il punto e virgola sia morto e anche l’italiano non si sente tanto bene. Continuano a ripeterci che la nostra lingua si sta corrompendo, contaminata dall’inglese e minacciata da Internet e dai messaggini. Ma siamo sicuri che le cose stiano davvero così? Siamo sicuri che l’italiano virtuale sia quello di Facebook e Twitter e non quello scolastico-burocratico che ci spinge a dire “recarsi”, “presso”, “effettuare”; “dimenticare” e non “scordare”, “prendere” e non “pigliare”, “egli” e non “lui”; mai e poi mai “ma però”? Con grande ironia e intelligenza, Giuseppe Antonelli decide di sfidare i luoghi comuni del conservatorismo e del perbenismo linguistico. Affrontandoli uno dopo l’altro, fa a pezzi gli ingiustificati pregiudizi che troppo spesso si tramandano riguardo alla nostra lingua. E lo fa con argomentazioni brillanti e irresistibilmente divertenti, puntando sui giochi di parole (“Quando c’era egli”, “Una gita sul pò”, “Non ci sono più le mezze interpunzioni”) e su un ricco campionario di esempi e di aneddoti che coinvolgono i nomi più grandi della letteratura italiana: da Leopardi a Manzoni, da Gadda a Manganelli. E non si limita a polemizzare con la paura dei neologismi o a dimostrare che si possono usare anche formule come “a me mi”, ma addirittura si spinge fino alla (parziale) riabilitazione delle parolacce e delle vituperatissime abbreviazioni che si usano negli sms e nelle chat. Perché la lingua è un organismo vivo e, con l’intenzione di proteggerla da ogni innovazione, si finirebbe per metterla in gabbia e farla morire triste e deperita come certe bestie feroci e meravigliose costrette alla cattività. Se si ama la propria lingua, ci dice Antonelli, non c’è peggior delitto di volerla seppellire viva. Di imbalsamarla con norme e precetti considerati astrattamente eterni. Di ibernarla in nome di una mai esistita èra glaciale della perfezione.
AUTORE Giuseppe Antonelli insegna Storia della lingua italiana all’Università di Cassino. Collabora all’inserto domenicale del “Sole 24 Ore” e conduce su Radio Tre la trasmissione settimanale “La lingua batte”. Tra i suoi ultimi lavori: L’italiano nella società della comunicazione (Il Mulino, 2007), Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato (Il Mulino, 2010) e la curatela, con Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin, della Storia dell’italiano scritto (Carocci, 2014). Ha collaborato con Luciano Ligabue per il suo La vita non è in rima (per quello che ne so). Intervista sulle parole e i testi (Laterza, 2013).

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