venerdì 27 settembre 2013

TELECOM ITALIA. In un libro quasi clandestino le ragioni di un disastro…

Se si vogliono conoscere i meandri della gestione della più grossa impresa di telecomunicazione italiana, la lettura del volume “La banda larga di Telecom Italia” di Joe Basilico, pubblicato dall’editore reggino Città del Sole Edizioni, si rivelerà una sorprendente mappa alla scoperta dei tortuosi percorsi finanziari che governano la compagnia.
Joe Basilico
presenta
LA BANDA LARGA
di Telecom Italia
euro 10,20

L’analisi impietosa dei meandri di Finanza e Gestione Telecom, riportati con sottile ironia da una persona che lavora al suo interno. Senza veli, dunque, il racconto ricco di episodi reali che caratterizzano la vita quotidiana di una importante azienda.
In un momento di crisi dei modelli gestionali capitalistici, vedi i fallimenti cui stiamo assistendo in questi giorni di grosse imprese americane, può essere utile per capire meglio come si arriva a tali situazioni, che non accadono così all’improvviso, ma sono frutto di gestioni a dir poco “azzardate”.
In un libro quasi clandestino fatti e misfatti del management dell’ex monopolista: nepotismo, etilismo, cortigianeria e clientelismo a carico di clienti, piccoli azionisti e dipendenti. Una case history del capitalismo all’italiana?
A questo libro sta capitando la stessa cosa che succedeva a “L’odore dei soldi” di Marco Travaglio: qualche “piccolo fan” entra nelle librerie e ne acquista tutte le copie disponibili. E non si fatica a comprenderne il perché, visto che “La banda larga di Telecom Italia“, firmato da Joe Basilico (pseudonimo sotto il quale si cela un gruppo di “insider“) e pubblicato da una piccola casa editrice di Reggio Calabria Città del Sole , è un libro di denuncia, che racconta “fatti e misfatti rigorosamente accaduti“, come si dice nella prefazione. E sostiene, come ha scritto Alessandro Gilioli, che “l’ex monopolista è una gigantesca salma attorno alla quale pasteggia un centinaio di avvoltoi, nugoli di megadirigenti da 10 mila e più euro al mese che brillano non solo per incompetenza ma soprattutto per nepotismo, etilismo, cortigianeria, clientelismo e sprechi spaventosi, il tutto all’interno di una cultura aziendale di tipo feudale e iper conformista, che frustra ogni meritocrazia in nome dell’autoconservazione della “banda” e dei suoi ruoli di comando“. Ovviamente, ciascuno è libero di pensare che la questione non sia affar suo, ma di dipendenti, dirigenti, proprietari e piccoli azionisti. Però basta rendersi conto del ruolo “pubblico” che ricopre Telecom – se non altro, a causa della proprietà della rete di telecomunicazioni attraverso cui devono passare quasi tutti i suoi concorrenti – per capire che il problema è un po’ meno “privato” di quello che sembra. E che forse la Kasta della politica non è l’unica da esecrare, nell’Italia dell’indignazione un tanto al chilo.
NUMERI CHE FANNO GIRARE… – Ma perché “Banda“? Joe Basilico ce lo spiega, e ci avverte che è un meccanismo che funziona in generale nelle grandi imprese: “Gruppi o cordate di manager assumono il “comando” di imprese, non con l’obiettivo di realizzare il massimo profitto dell’impresa stessa, ma quello del loro gruppo di appartenenza a discapito delle aziende, degli azionisti, dei clienti, dei dipendenti e del sistema Paese“. Tale fenomeno è un’evoluzione rispetto al concetto di casta e, non ben arginato, può produrre danni, non solo alle malcapitate imprese, ma all’intero equilibrio economico e finanziario del Paese (vedi Parmalat, Cirio, Enron, Worldcom, Banca Popolare Italiana, Arthur & Andersen). Poi nel libro – scritto prima dell’addio di Marco Tronchetti Provera e dell’avvento di Telco, quando ancora amministratore delegato era Renato Ruggero – si racconta della spartizione della “polpa” di Telecom avvenuta tra i gruppi di potere, certifica la divisione in due bande: la numero uno (i “pirellini“) si è presa la parte costi, investimenti e finanza (la cassa), la numero due si è assunta il compito di presidiare il mercato e sviluppare i ricavi. E si descrivono le varie guerre tra i due gruppi, prima sul mondo acquisti, poi, sulla spesa e infine sui numeri del commerciale. Le bande minori sono quella Opus Dei, quella di Comunione e Liberazione e la Comunità di Sant’Egidio.
IO SONO JOVANOTTI – Il capo della banda è il principe, alias Renato Ruggiero. Un principe dalle regali esigenze: si ricorda il pagamento di una fattura per un suo viaggio in Argentina per il valore di 180mila euro + Iva, o la raccomandazione di lasciare un paio di posti vuoti intorno a quello dove si siede, in quanto soffre la vicinanza fisica. Oppure le esigenze di alloggiare in suites da 2mila euro a nottte, con tanto di asciugamani di lino, o quella volta in cui al suo tavolo doveva assolutamente sedere Victoria Silverstedt, la cui presenza viene remunerata con 65mila euro. Ma è a suo modo interessante anche l’aneddoto che lo vuole pronto a cazziare un autista in occasione di una convention in terra catalana, colpevole di averlo lasciato a 50 metri dall’ingresso. I cortigiani vengono indicati con soprannomi, ma è facile riconoscerli: Trinchetto, uomo dalle abitudini etiliche ben definite che guadagna 500mila euro l’anno; Richelieu, l’eminenza grigia; Harry Potter, il guru dei call center, dotato di uno sviluppato senso estetico nei confronti del genere femminile, tanto da incappare in un incidente di percorso con una prosperosa segretaria che sporse denuncia e che è stata costretta alle dimissioni e al ritiro (dietro comunque lauto compenso); il Piotta, ad di Telecom Sparkle, che pretende il Corriere dello Sport nella mazzetta dei giornali; Miss Rottermaier, l’assistente dell’AD con stipendio da 75mila euro annui pur avendo soltanto la terza media. Dulcis in fundo, c’è il popolarissimo Napoleone, alias Luca Luciani, direttore generale già famoso per la gaffe di Waterloo e oggi “promosso” a responsabile delle attività brasiliane.
SPENDI, EFFENDI – Ma è la gestione delle spese la torta più grossa da spartirsi. E qui gli aneddoti si sprecano: la giovane di bella presenza poco più che ventenne originaria di una borgata romana che diventa testimonial del Tim Tour e ragazza immagine per la modica spesa di 400mila euro; 7 milioni di euro per consulenze dati a Maurizio Costanzo, e dicono le voci maligne per non farlo “parlar male” di Telecom, evidenziando casi di scarsa attenzione alla clientela. 700mila euro a Solenghi e Lopez per una serie di episodi comici in bianco e nero da trasmettere sul portale di Alice, salvo non mandarli mai in onda; stesso trattamento (ma una cifra maggiore: un milione) per Aldo, Giovanni e Giacomo. E poi ci sono i grandi eventi come i megaconcerti al Colosseo: Telecom paga l’organizzazione dell’evento alla “Four One“, piccola società che ha tra i soci Maddalena Tronchetti Provera, che a sua volta si rivolge a strutture competenti. “Come mai un passaggio in più, casualmente dove c’è la figlia del Presidente?“, si chiedono gli autori. Anche le convention, per essere bene organizzate, richiedono la presenza femminile. Una per tavolo, si intima prima di un incontro a Montecarlo, e tutte vestite di abiti succinti, tanto da far scappar via un vescovo prima di cena. Ma le cose in grande si fanno a Barcellona nel 2007: 4 milioni di euro per invitare 1600 persone; ospiti Simona Ventura (65mila), Biagio Antonacci (130mila), Enrico Brignano (140mila).
PRODOTTI DI SUCCESSO – Particolarmente intrigante la vicenda del Videotelefono. Un prodotto vecchio (si era già tentato di venderlo nel 1996, con scarsi risultati) e riproposto da Ruggiero quattro anni fa. Un “affare” piuttosto strano: Telecom si affida a una società esterna per la fornitura, la Hi-Tel s.p.a. del signor Patrick Scarlata, ex piastrellista belga. Scarlata stipula un contratto per la fornitura di un milione di videotelefoni a 125 euro. La cosa strana è che a detta di diversi dettaglianti, il prezzo al quale Telecom vendeva era 100 euro, ed erano obbligati a forti ordinativi, consentendo così all’azienda di raggiungere gli obiettivi di vendita; poi, nei primi mesi dell’anno successivo, quasi il 100% dei prodotti rientrava in Telecom per malfunzionalmento, e venivano girati per la riparazione alla Waldeco International Srl. E chi era a capo di Waldeco? Sempre l’ottimo Scarlata. Perché tutto ciò? Un’interpretazione la fornisce sempre Basilico: “La strategia, non certo originale, è quella di trasferire ricchezza da una società verso fornitori “amici”, le cui holding, risalendo le intricate catene di controllo, risiedono guardacaso sempre in paradisi fiscali“.
QUASI QUASI MI SBILANCIO – Particolarmente interessante è il meccanismo di cosmesi contabile con il quale Telecom abbellisce i risultati. Si parte da un numero come dato che viene dichiarato al mercato come raggiunto e poi si usano varie tecniche per arrivarci. Ad esempio, il responsabile di ogni settore fa una dichiarazione manuale sul valore mancante che stima per quel fenomeno, e tale valore passa in contabilità, con tanto di modello cartaceo, firma e fax. Oppure, per contabilizzare un costo si fa eseguire una prestazione o si richiede una fornitura a un “amico“, e si concorda che il saldo lo si rinvia a un periodo successivo (post-fatturazione). Altra furbata è capitalizzare spese correnti, facendole passare come partita passiva sullo stato patrimoniale, attribuendo all’anno in corso la quota di ammortamento. Sul lato ricavi, si acquisiscono ordini di prodotti che si consegnano al cliente con l’accordo che poi verranno restituiti. Nella vendita di schede telefoniche (le Sim), fino a qualche tempo fa, non si discriminavano coloro ai quali venivano vendute; con il risultato di un danno per furto di traffico pari a 150 milioni l’anno. Un altro fenomeno è l’aumento dei servizi speciali: “Fantomatiche aziende offrono i più svariati servizi digitando numeri che in bolletta vengono descritti come speciali (482 – 701 – 702 – 709): numerazioni con tariffe astronomiche che poi Telecom incassa e gira alle aziende. Su tali strani meccanismi c’è il sospetto che siano mirati anche all’interesse diretto della “banda”, attraverso queste società“.
MONEY GET BACK I’M ALL RIGHT JACK – Di episodi ce ne sono tanti, e il più divertente è quello del manager da svariate decine di migliaia di euro l’anno che, commentando un documento di analisi aziendale che aveva evidenziate in rosso le parti critiche, chiedeva: “Ci sono parti del documento che sono evidenziate in colori differenti e andrebbe o reso omogeneo o data una chiave di lettura perché i colleghi possano interpretare il messaggio“. Ma forse il dato più significativo è il paradosso dei premi dati ai meritevoli. Il management viene premiato se raggiunge il 90% del valore dell’utile netto indicato; il personale solo se raggiunge il 98% dell’EBITDA. Ebbene, nel 2006, il personale non ha maturato il diritto al premio pur essendo cresciuto l’EBITDA, mentre a fronte di un peggioramento dell’utile netto il management si è liquidato premi per 40 milioni di euro. E, dall’analisi delle buste paga pubblicate nel libro, si nota anche che il 99% dei dipendenti percepisce sempre la parte retributiva variabile legata ai risultati. Tanti, maledetti, a discapito degli altri e subito. Come se l’azienda fosse una vacca da mungere. Ma il problema vero non è Telecom. Il problema è che è dappertutto così.

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