lunedì 13 ottobre 2014

TUTTO CIÒ CHE SERVE È AMORE. UN MODELLO ECONOMICO CHE SI ALIMENTI DI AMORE, COLLABORAZIONE, EQUIPE, COMPLICITÀ, UNITÀ D’INTENTI. STEVE JOBS INDICÒ I BEATLES COME MODELLO DI START UP. IN LORO VEDEVA RACCHIUSE TUTTE LE CARATTERISTICHE CHE HANNO SEGNATO QUELL’EPOCA. PER USCIRE DA QUESTO PERIODO INFAUSTO È NECESSARIO RITROVARE QUELLO SPIRITO….

ALL YOU NEED IS LOVE
Federico Rampini
(in prenotazione)
«Il mio modello di business? I Beatles.» Così parlò Steve Jobs, il fondatore di Apple, uno che di business qualcosa capiva. A intrigarlo era soprattutto la formula del collettivo: vedeva i Beatles come un prodigioso moltiplicatore dei talenti individuali. L’indimenticabile quartetto della cultura pop, infatti, fu anche una start-up di successo. Proiettò quattro ragazzi cresciuti nella Liverpool del primo dopoguerra, in una miseria da Terzo mondo, verso la stratosfera della ricchezza. Personalmente, nei testi delle loro canzoni, composte in un periodo di radicali cambiamenti come gli anni Sessanta, ritrovo la mia adolescenza e un’epoca che fu l’ultima Età dell’Oro per l’Occidente: alta crescita, pieno impiego, benessere diffuso, aspettative crescenti per i giovani. Ma anche i germi di quel che accadde in seguito. Taxman prefigura le rivolte fiscali. Get Back nasce come una satira dei primi movimenti xenofobi e anti-immigrati. When I’m Sixty-Four anticipa la crisi del Welfare State da shock demografico. Eleanor Rigby e Lady Madonna evocano la nuova povertà che oggi è in mezzo a noi. Across the Universe, con il suo richiamo al viaggio in India dei Fab Four, ricorda l’irruzione dell’Oriente nel nostro mondo. E Yesterday, con il tema della nostalgia, ci costringe ad affrontare domande cruciali: davvero si stava meglio «ieri»? Prima dell’euro, prima della globalizzazione, prima di Internet? L’obiettivo di questo libro è ricostruire una speranza. Se la Grande Depressione degli anni Trenta seppe generare un «pensiero forte» per risolvere quella crisi, cioè la dottrina (allora rivoluzionaria) di Keynes, anche la crisi attuale invoca idee e terapie altrettanto innovative per risolvere il drammatico problema dell’occupazione e superare le sempre più profonde diseguaglianze sociali. Ma per rigenerare l’analisi economica e ridefinirne priorità e obiettivi, liberando la mente dalla presunta «inevitabilità» delle leggi del mercato, sono indispensabili quella fantasia e quella creatività che affascinarono Steve Jobs. Utilizzare come colonna sonora le canzoni dei Beatles, il loro linguaggio semplice, divertente, provocatorio, può essere il primo passo per seppellire ogni pregiudizio contro la «scienza triste». E per riprenderci l’economia dalle mani di chi l’ha sequestrata, sequestrando le nostre vite.
AUTORE Federico Rampini corrispondente della «Repubblica» da New York, ha esordito come giornalista nel 1979 scrivendo per «Rinascita». Già vicedirettore del «Sole 24 Ore», è stato editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino. Ha insegnato alle università di Berkeley, Shanghai, e al Master della Bocconi. È autore di numerosi saggi, tra cui San Francisco Milano (Laterza, 2004) e Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. Falso! (Laterza, 2012). Da Mondadori ha pubblicato: Il secolo cinese (2005), L’impero di Cindia (2007), Slow Economy (2009), Alla mia Sinistra (2011), Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo (2012). È autore e interprete di uno spettacolo teatrale, Occidente estremo. Da Mondadori è uscito il suo libro-conversazione con Giorgio Napolitano,La via maestra.

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